L’Ambasciata d’Italia a Yangon, in collaborazione con Myanmar Photo Archive, è lieta di presentare “Rethink Beato: from Italy to Burma (1832-1909)”, una mostra alla scoperta dell’intrigante vita e dell’eredità di Felice Beato, il fotografo di origine italiana che ha immortalato lo spirito del Myanmar durante il suo soggiorno a Mandalay dal 1887 al 1905.
I visitatori potranno fare un salto indietro nel tempo e scoprire le potenti immagini del Myanmar di Beato, insieme alle sue opere realizzate in Giappone, Cina, India, Crimea e Medio Oriente. Un viaggio unico nella storia, catturato attraverso l’obiettivo di Beato, che offre spunti sull’importanza storica del Myanmar nel commercio e nell’economia globali.
Rethink Beato sarà aperta al pubblico presso Turquoise Mountain (47B Pho Sein Street, Bahan Township, Yangon) da sabato 30 novembre 2024 a domenica 15 dicembre 2024, dalle 11:00 alle 18:00.
L’Ambasciata d’Italia a Yangon è orgogliosa di collaborare con Myanmar Photo Archive nel presentare al pubblico birmano (ma non solo), la complessa ed elusiva figura di Felice Beato (1832-1909), uno dei più talentuosi pionieri della nascente arte fotografica e di illustrare il suo ruolo nella creazione di un immaginario della Birmania diffusosi mediante le sue fotografie. L’italo-inglese Beato si stabilì a Mandalay all’apice di una carriera straordinaria e di un’esistenza errante, lasciando immediatamente una traccia profonda grazie alle sue tecniche fotografiche all’avanguardia, al suo raffinato senso artistico ed alle sue intuizioni commerciali, espandendo l’orizzonte della conoscenza del Myanmar in Europa e altrove. Le sue fotografie iconiche hanno plasmato una “idea della Birmania” che – per quanto oggi possa essere considerata stereotipata – rappresenta tuttora un tassello dell’immaginario collettivo e della memoria del Myanmar.
Nel presentare in Myanmar il corpus fotografico di Beato, intendiamo contribuire allo sforzo complessivo di Myanmar Photo Archive e di varie altre istituzioni private e cittadini di preservare, promuovere e trasmettere la Memoria. Si tratta di uno sforzo tanto più importante, in quanto la frammentata e tormentata storia del Paese ha reso difficoltoso restituire al popolo birmano un senso di appropriazione del proprio passato. Riuscire a integrare con sguardo critico i vari passaggi della storia è, in Myanmar come altrove, un modo per sedimentare un’identità più solida, consapevole e ricca.
Ma chi era davvero il Signor Beato? Gli sforzi degli storici di tracciarne una biografia si sono scontrati a lungo con dati lacunosi e contraddittori e solo di recente hanno consentito di stabilirne i principali punti fermi. Tuttavia, le sue convinzioni personali, le sue motivazioni e la sua identità restano avvolte nel mistero. Beato può considerarsi a seconda delle prospettive un avventuriero, un pioniere, un eterno vagabondo, un esploratore, un imprenditore geniale. La mostra si propone di offrire alcune piste di indagine, lasciando al pubblico di trarre le proprie conclusioni.
Per quanto incompleto sia il ritratto di Beato che ne emerge, tutte le sfaccettature della sua vita e del suo lavoro puntano in una direzione: la modernità. La vita di Beato è stata un ininterrotto sforzo nel cavalcare il progresso tecnologico e di intuire opportunità imprenditoriali pionieristiche. Beato ha avuto il dono di anticipare le infinite possibilità aperte dalla globalizzazione del XIX secolo.
Egli ha scommesso sul desiderio della ricca borghesia di spingersi in viaggi sempre più lontani, lasciandosi affascinare dall’esotico, oltre i confini del classico Grand Tour dell’Europa meridionale. La sua carriera di fotografo è iniziata a Costantinopoli, una meta dei nascenti viaggi nel Vicino Oriente, ma Felice ha anche aiutato il fratello Antonio ad aprire uno studio fotografico a Luxor in Egitto, dove i viaggiatori più avventurosi avevano cominciato a recarsi. Infine, al termine della sua vita professionale e delle sue peregrinazioni, si stabilì a Mandalay, appena conquistata dagli inglesi. La sua intuizione di preparare album fotografici completi di «vedute e tipi» giapponesi prima e poi birmani, ricevibili per posta nel mondo intero, ha anticipato soluzioni commerciali affermatesi solo un secolo dopo con i cataloghi postali e più recentemente ancora con gli acquisti online.
Beato comprese il ruolo crescente dell’informazione pubblica, di giornali e riviste e vide che essi rappresentavano una componente essenziale del funzionamento delle democrazie liberali ma anche uno strumento attraverso cui si costruiva il consenso per le avventure coloniali britanniche. Decise quindi di imbarcarsi in una perigliosa carriera di fotoreporter di guerra. Documentò la guerra di Crimea nel 1855, la repressione della rivolta indiana del 1857, la Seconda Guerra dell’Oppio in Cina, la spedizione navale degli Stati Uniti in Corea nel 1871 ed infine la repressione britannica delle rivolte nell’Alta Birmania. Per quanto sgradevoli le sue foto di guerra possano sembrarci, esse hanno anticipato il destino della fotografia di diventare al tempo stesso lo strumento più potente di documentazione della verità e di costruzione della propaganda in tempo di guerra.
Beato era acutamente consapevole del passaggio epocale in atto da una società di idee, quale quella esistente fino all’inizio dell’Ottocento ad una società di immagini rese disponibili in maniera quasi istantanea ad un vasto pubblico. Le sue foto non sono solo oggetti commerciali, ma rappresentano uno strumento di trasformazione della società, di trasmissione della conoscenza, di alimentazione di desideri, ambizioni e mode, fino a plasmare la percezione della realtà per un numero sempre più ampio di persone.
Infine, Beato intravide le opportunità offerte dalla senza dubbio parziale ma non irrilevante commistione della società occidentali e delle società locali in Estremo Oriente. Fondò la scuola di fotografia di Yokohama in Giappone, trasferendo la sua conoscenza della fotografia ad una intera generazione di fotografi locali, ma incorporò anche le tecniche dei maestri dell’ukiyo-e nel processo di coloritura delle sue foto, un’innovazione che ha costituito la base del suo successo commerciale. Ad esempio in un bell’album di vedute e ritratti birmani della British Library, Beato ha combinato un’attraente legatura in seta birmana con pagine di carta fatta a mano e tecniche di rilegatura occidentali. In questo modo, ha realizzato, attraverso un’attenta commistione di gusto locale e tecniche europee, un oggetto del desiderio di alta qualità chiamato “Birmania” in grado di assicurargli successo commerciale e di plasmare un’immagine idealizzata ed alla moda della Birmania. Ma Felice Beato non ha investito solo sul desiderio di esoticismo dell’Occidente, ma anche sullo speculare desiderio delle classi abbienti giapponesi e birmane di essere immortalate attraverso l’innovativo strumento occidentale della fotografia. In questo modo ha saputo creare un mercato locale per le sue fotografie e reso profittevole il suo studio di ritrattistica fotografica.
Quanto della Birmania abbia permeato l’identità di Felice Beato dopo un quindicennio di residenza a Mandalay e Rangoon non siamo in grado di stabilirlo. Il fatto che abbia sposato una donna birmana è tuttavia un’indicazione del suo radicamento in un focolare domestico birmano, mentre la bellezza dei suoi ritratti sembra anch’essa evidenza di un amore e di un’ammirazione per il Paese ed il popolo che ha incontrato nell’ultimo tratto della sua lunga e straordinaria epopea in Estremo Oriente.
Nicolò Tassoni Estense
Capo Missione
Ambasciata d’Italia a Yangon